Chi sei quando comunichi?
L'abito giusto per te
Molti, quando iniziano a raccontarsi online per motivi professionali, credono di dover indossare un abito nuovo.
Qualcosa di più serio, più “strategico”, come se la versione digitale di sé dovesse essere un’altra cosa, più credibile perché più “perfetta”. E finiscono così per creare un “personaggio” distante da chi sono realmente.
Ma non è così che funziona la fiducia.
L’identità professionale nasce da quella personale
Non esistono due identità separate, come se potessimo avere due vite parallele.
Esiste la nostra identità personale – complessa, sfaccettata, in continua evoluzione – e da questa scegliamo consapevolmente cosa mostrare nel mondo del lavoro.
L’identità professionale non è una maschera: è una porzione viva e vera di ciò che siamo, e va comunicata con intenzione.
Quando ho iniziato a comunicare il mio lavoro, sapevo già che non volevo diventare un personaggio.
Ho sempre sentito che la mia voce, il mio modo di guardare le cose, i miei valori non erano un dettaglio: erano la base.
All’inizio non è stato facile: vedevo intorno a me tante comunicazioni lucidissime, patinate, pensate a tavolino per piacere.
Io invece parlavo come parlo davvero, con le mie parole e i miei tempi, mettendoci dentro anche le domande, le fragilità, e tanta, tanta realtà.
Qualcuno mi diceva che forse dovevo “aggiustare il tiro”.
Ma non mi sono mai piegata alle esigenze dell’algoritmo e della massa.
Ho scelto di fidarmi del mio sentire. E nel tempo ho visto che quel sentire risuonava.
Non è stato un colpo di fortuna: è stata coerenza, costanza, e saper aspettare che la consapevolezza anche negli altri crescesse, grazie anche ad altri professionisti come me, che credono nella verità nella comunicazione. E la coerenza, nel tempo, paga sempre.
Non puoi raccontare ciò che non hai indagato
Per scegliere cosa raccontare, però, serve fare spazio.
Conoscersi.
Chiedersi: cosa conta davvero per me? Cosa voglio portare nel mio lavoro? Qual è il modo in cui voglio stare nel mondo, anche quando vendo qualcosa?
I valori non sono slogan: sono radici. E quando ci lavoriamo sopra, diventano guida.
Il personaggio crolla. L’identità regge.
La costruzione di un personaggio “perfetto”, scollegato da ciò che siamo davvero, forse può reggere qualche mese. Forse anche un anno, se siamo bravi. Ma alla lunga pesa.
E quando vacilla, vacilla anche la fiducia. Perché le persone avvertono le crepe, anche se non sanno spiegarle.
Per non parlare delle difficoltà che potremmo riscontrare in un pericoloso sdoppiamento di personalità, se decidessimo di percorrere questa strada.
Essere se stessi non è una debolezza comunicativa: è un atto di forza e coerenza.
Essere se stessi rende autorevoli
Quando la nostra identità professionale nasce da una verità interiore, diventa solida. E la solidità genera autorevolezza: quella qualità silenziosa che fa sì che gli altri si fidino, ascoltino, tornino.
Non serve alzare la voce per farsi riconoscere: serve solo esserci, con chiarezza
Il personal brand è una pratica di cura
Coltivare il proprio personal brand non significa “farsi vedere” a tutti i costi. Significa fare scelte intenzionali su come mostrarsi, su cosa raccontare, su quali parole usare. È una pratica continua, come prendersi cura di un giardino: richiede presenza, attenzione, pazienza.
Ma quando il giardino fiorisce, diventa rifugio anche per gli altri.
Se non lo hai mai fatto prima, questo potrebbe essere un buon momento per chiederti:quale parte di te stai portando nel tuo lavoro?